Fallire sotto pressione (choking): pensare alla performance migliora la performance?


di Alistair Castagnoli, consulting coach

PENSA!!!

Uno degli allenatori di basket a cui ho fatto da assistente ad inizio carriera, durante i time-out delle partite, si rivolgeva spesso alle giocatrici esortandole a pensare.
<<Pensa! Pensa!>> usava urlargli in faccia scarabocchiando nervosamente sulla lavagnetta.
Naturalmente lui pensava che spronarle a ragionare su come risolvere i problemi incontrati durante le partite fosse il modo migliore perché si togliessero dai guai in cui, sempre secondo lui, si erano messe da sole (tratteremo la responsabilità di noi coach in un futuro articolo).

Mi tocca ammettere (ahimè!) che anche io sono caduto spesso in questo errore.
Anche a me altri allenatori prima di lui avevano insegnato che per vincere una partita dovevo pensare azione dopo azione e le vecchie abitudini sono dure a morire!
Incuriosito però da questa tendenza ho iniziato a prendere nota di cosa accadeva alle giocatrici dopo l’esortazione “Pensa!Pensa!”.
Il risultato?
Nel 75% dei casi la performance (quantificata sulla base delle statistiche rilevate) era negativa e peggiore di quanto fosse prima di quel comando.
Sembrava che esortarle a pensare a come giocare e a come decidere cosa fare in campo peggiorasse la loro prestazione in alcuni casi portandole ad una vera e propria confusione paralizzante.
Se la partita è la conseguenza degli allenamenti allora era negli allenamenti che andava ricercata una spiegazione.

COSA FARE AD ALLENAMENTO?


Quando alleniamo è infatti importante ricordare che l’allenamento deve servire a fare acquisire al giocatore la capacità di prendere decisioni (che lui trasforma in azioni motorie) in modo funzionale al modello di gioco: durante l’allenamento infatti, il giocatore si domanda (inconsapevolmente la maggior parte delle volte) cosa fare in un preciso momento e in risposta ad una precisa situazione tattica proposta da noi coach.
Questo è il significato di allenamento: esercitarsi a decidere cosa fare quando giochiamo.
Ma durante una partita, specie se impegnativa, non abbiamo tempo di pensare!

In allenamento pensare cosa fare evita al giocatore errori grossolani: la risposta motoria all’inizio del processo di apprendimento di nuove abilità è lenta e macchinosa, ma col tempo e con gli allenamenti quella risposta neurale (la risposta motoria all’azione di gioco) diviene naturale (il giocatore non pensa, ma semplicemente gioca – anzi sarebbe più preciso dire “il giocatore performa”).
Come mai?

Il giocatore riconosce inconsapevolmente in partita la stessa situazione tattica allenata ad allenamento e risponde agendo e performando sia alla domanda inconscia “cosa faccio qui e ora?” sia all’azione di gioco stessa.
Il gesto passa così dalla modalità principiante (in ogni situazione devo pensare a che gesto motorio fare e a come farlo) alla modalità esperto (non penso né al gesto motorio che devo fare né al modo in cui farlo).
L’azione motoria del giocatore passa dalla modalità cerebrale Top-down a quella Bottom-up (per un chiarimento sulle modalità di apprendimento Bottom-up e Top-down si veda il paragrafo “Chi controlla il controllore” in http://theconsultingcoach.blogspot.com/2015/05/nf.html).
Da quel momento in poi la performance del giocatore accade, nel bene e nel male, in modo automatico e naturale: quindi state molto attenti a quali abitudine neurali allenate!
Se allenate una risposta motoria errata modificarla richiederà molto tempo, incazzature e fatica!

Ma cosa succede se un giocatore volesse tornare alla modalità Top-down durante la performance? Ossia cosa avviene ogni volta che durante un’azione di gioco il giocatore pensa a quale gesto tecnico fare e a come farlo?
Avviene ciò che l’allenatore di inizio articolo comandava alle giocatrici: avviene il “pensa!”. Avviene il disastro!

IL DUBBIO CHE PARALIZZA

Quanti di noi sono certi che studiare attentamente qualcosa fin nei minimi dettagli dia risultati notevolmente migliori?
Quanti ritengono che per evitare errori sia necessaria una attenzione maniacale a ciò che si sta facendo?
E quanti sono convinti che queste affermazioni siano valide anche in campo sportivo?
Rispondo io: sfortunatamente troppi di noi!
Stretti nella morsa del dubbio ciò che normalmente facciamo è affidarci a pensieri razionali per trovare una risposta decisionale migliore di quella che fino a quel momento ci ha portato sin dove siamo arrivati.
Mentre giochiamo (mentre alleniamo, studiamo, lavoriamo) se ci lasciamo prendere da un processo di sovra analisi ed elaborazione di ciò che succede (“Adesso faccio questo, poi faccio quello e in fine faccio quello in questo e quel modo.”) impediamo al nostro cervello di attivare i circuiti sinaptici che, utilizzando in modo spontaneo e naturale quanto già appreso, ci fanno svolgere la prestazione nel modo più performante.
Vale ricordare qui l’esempio di Jean Van de Velde la cui tensione alla diciottesima buca del British Open del 1999 finì per costargli il primo posto e la vittoria.

NON PENSARE: GIOCA!

Ciò che accadde alla diciottesima buca (Si vedano http://en.wikipedia.org/wiki/Jean_van_de_Velde_%28golfer%29 e http://sports.gunaxin.com/remembering-jean-van-de-veldes-british-open-choke/97572) è ricordato come uno dei più famosi esempi di choking della storia dello sport: dopo un golf inappuntabile, van de Velde iniziò a pensare ai dettagli dei gesti motori che avrebbe dovuto compiere. Risultato? I suoi colpi diventarono simili a quelli di un principiante: impacciati e meccanici, determinando il suo fallimento.

Vi ricorda qualcosa?
Quante volte vediamo giocatori validi o squadre intere che improvvisamente sembrano aver disimparato come giocare?
Il choking avviene perché iniziamo a pensare troppo a come compiere i gesti invece che affidarci alla memoria motoria e ai sistemi di navigazione automatici delle emozioni e del marcatore somatico (Si veda il paragarafo “La sensazione che suggerisce” in http://theconsultingcoach.blogspot.com/2015/05/nf.html) tanto utili quando si tratta di abitudini e performance.
Se ci concentriamo eccessivamente sul movimento perdiamo il controllo del movimento stesso.
Sembra un paradosso ma le ricerche scientifiche lo dimostrano: se durante un’azione sportiva pensiamo troppo, la fluidità e l’armonia della performance svaniscono e il giocatore di talento si involve in un mediocre esordiente. (Beilock, 2011)

MA SE PENSO A COME FARE BENE, POI FACCIO BENE?

Il meccanismo perverso in cui tutti prima o poi cadiamo e che attiva il choking è il seguente:

-La pressione soggettiva della prestazione altera lo stato del giocatore che si innervosisce.
-Lo stress della tensione nervosa spinge il giocatore a diventare troppo cosciente di sé.
-Il giocatore teme di commettere errori e quindi si concentra ancora di più su di sé.
-Convinto di evitare gli errori il giocatore esamina con attenzione morbosa azioni che invece è più opportuno compiere in modo spontaneo.
-La naturalezza del gesto motorio si interrompe e la prestazione peggiora.
La paura di fallire ha creato una cascata di azioni che hanno determinato il fallimento stesso.
(Mod. da Beilock and Carr, 2001; Nardone, 2011; Yu, 2015)

Si può evitare che ciò avvenga?
Come spiegato nel paragrafo “Allenarsi a decidere – l’illusione della libertà” (si veda http://theconsultingcoach.blogspot.com/2015/05/nf.html) le emozioni positive allenate sono in questi casi la risposta decisionale migliore alla performance. 
Giorgio Nardone (psicologo, psicoterapeuta, autore, fondatore nel 1987, insieme a Paul Watzlawick, del Centro di Terapia Strategica di Arezzo) illustra bene questo concetto: quando ci si interroga su qualcosa di piacevole che si sta facendo (e fino a prova contraria praticare uno sport è piacevole), “l’effetto immediato è il blocco delle sensazioni piacevoli in corso e lo spostarsi dalla relazione con l’esperienza in corso alla relazione tra l’io interrogante e l’io che deve rispondere al quesito. La consapevolezza del bello che si prova viene totalmente annebbiata dalla riflessione cosciente sul senso di tutto ciò. Il pensiero invade la scena delle sensazioni, azzerandole di conseguenza.” (Nardone, 2011)
Questo procedimento non è solo dannoso nella vita di tutti i giorni (“Se il lettore volesse, con un proposito autolesionista, sciuparsi costantemente la vita, potrebbe semplicemente sforzarsi di riflettere sul senso profondo di ogni cosa che sta vivendo.” Nardone, 2011), ma è fatale durante una partita o una gara.
Interrogarsi su quale gesto e in che modo compierlo durante una partita è il modo migliore per innescare il meccanismo del choking e, quindi, fallire.

IL CHOKING

In definitiva cos’è il choking?
Sian Beilock (vedi in nota le fonti) ci spiega cosa sia il choking ricordandoci che un atleta di alto livello affina delle abilità tecniche che si manifestano in modo automatico nel cuore dell’azione. Egli non ha bisogno di pensare costantemente a cosa stia facendo e come farlo: lo fa.
Quando iniziamo a pensare oltremisura invece, i pensieri (o meglio i circuiti cerebrali che generano i pensieri) interferiscono con i programmi motori precedentemente memorizzati.
I gesti divengono impacciati, la pressione aumenta, la performance peggiora e il fallimento – il choking – è servito!

Ecco spiegata quella paralisi motoria esemplificata anche dalla curva arousal/performance (si veda http://en.wikipedia.org/wiki/Yerkes%E2%80%93Dodson_law) che ci impedisce di raggiungere risultati proporzionali alle nostre abilità.
Il pensiero razionale non sempre ci è d’aiuto nel cuore dell’azione o quando stiamo giocando una partita importante che vogliamo assolutamente vincere. Al contrario, in questi casi, la deliberazione razionale disturba i circuiti decisionali automatici e ci condanna a commettere errori.

DECIDERE DI NON DECIDERE

Quando stiamo per tirare un tiro libero decisivo o siamo in battuta al tie-break la mente deve essere disciplinata a rimanere nel flusso del gioco. Il nostro Focus (si veda il paragrafo "La via del clutch performer" in http://theconsultingcoach.blogspot.com/2015/06/clutch.html) non deve diventare una serie di pensieri ossessivi su come tirare, su come battere o su come giocare. La strategia migliore in questi casi è lasciare che il gesto, che la performance accada.
Ciò che abbiamo allenato, se avviene in modo naturale, senza che il suo svolgimento arrivi al piano della coscienza (come dicono i soldati “Fidati del tuo allenamento”) è ciò che in quei momenti ha le maggiori probabilità di essere la decisione sportiva migliore.
Quella sensazione emotiva (attenzione che non parlo di emozioni selvagge che prendono il controllo delle nostre azioni e che sono dannose tanto quanto un rimuginare eccessivo) che ci suggerisce in modo delicato e impercettibile come agire (il marcatore somatico) e che ci innalza a prestazioni di alto livello, altro non è che il risultato di un addestramento mirato al riconoscimento di situazioni tattiche che costituiscono la forma di gioco prima allenata in allenamento e poi messa in pratica in partita.
“Non pensare, gioca” è quindi banalmente la strategia migliore.
Una strategia che, in tre stagioni sportive, ha permesso alla squadra allenata dal mio staff di vincere l’80% delle partite punto a punto (si veda il paragarafo “La metodologia e la sua efficacia” in http://theconsultingcoach.blogspot.com/2015/09/b4.html).
Una strategia che, come detto, sembra semplice da attuare, ma che, come sa bene chiunque si sia trovato in una situazione stressante, richiede grande disciplina e allenamento specifico.


Estratti di questo articolo sono stati pubblicati sulla rivista Nuova Atletica - Ricerca in Scienza dello Sport, N. 249, novembre/dicembre 2014
Prima pubblicazione online: 7 giugno 2015 col titolo "La decisione sportiva: pensare alla performance migliora la performance?" sul precedente blog http://parliamodibaskete.blogspot.it

FONTI

Beilock S.L. – Choke: What the Secrets of the Brain Reveal About Getting It Right When You Have To – The Sport Psychologist, 2011, 25, 551-555
Beilock S.L., Carr T.H. – When high-powered people fail: working memory and "choking under pressure" in math – Psychol Sci., 2005
DeCaro M.S., Thomas R.D., Albert N.B., Beilock S.L. – Choking under pressure: multiple routes to skill failure – J Exp Psychol Gen., 2011
Kayser B. – Exercise starts and ends in the brain – Eur J Appl Physiol, 2003; 90: 411-419
Lee T.G., Grafton S.T. – Out of control: diminished prefrontal activity coincides with impaired motor performance due to choking under pressure – Neuroimage, 2015
Markman A.B., Maddox W.T., Worthy D.A. – Choking and excelling under pressure – Psychol Sci. 2006
Nardone G., De Santis G. – Cogito ergo soffro – Ponte Alle Grazie, 2011
Oliveira B., Resende N., Amieiro N., Barreto R. – Questione di Metodo – Tropea, 2009
Oudejans R.R., Kuijpers W., Kooijman C..C, Bakker F.C. – Thoughts and attention of athletes under pressure: skill-focus or performance worries? – Anxiety Stress Coping, 2011
Svoboda E. – How to Avoid Choking under Pressure Afraid of crumbling when it counts? Try not to think so hard – https://hpl.uchicago.edu/sites/hpl.uchicago.edu/files/uploads/How%20to%20Avoid%20Choking%20under%20...pdf



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